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CEMENTO ARMATO

(Librino, Catania, 2014 – 2016)


“[…] Quando Quinto saliva nella sua casa, un tempo la vista dominava la distesa dei tetti della città
nuova
e i bassi quartieri della marina e del porto, più in qua il mucchio di case muffite e lichenose della
città vecchia, tra il versante della collina a ponente dove sopra il porto s’infittiva l’oliveto: ora più
nulla, non vedeva che un sovrapporsi geometrico di parallelepipedi e poliedri, spigoli e lati di case,
di qua e di là, tetti, finestre, muri ciechi per servitù contigue con solo i finestrini smerigliati dei
gabinetti uno spora l’altro.”


1Italo Calvino, La speculazione edilizia, 1957

Negli anni ‘70 il boom edilizio devastava l’Italia e costruiva ghetti contemporanei sparsi per tutto
il “Bel Paese”. Le Orme nel 1971 cantavano in Cemento armato2:

“Cemento armato la grande città / Senti la vita che se ne va / Vicino a casa non si respira / E’
sempre buio ci si dispera / Ci sono più sirene nell’aria che canti di usignoli / E’ meglio fuggire e non
tornare più”.

Questo lavoro è uno spaccato del quotidiano in un quartiere, dove lo Stato cerca di far sentire la
sua presenza in un territorio ormai allo sbando. Giornate durante le quali la musica
neomelodica è totalmente coperta dalle sirene e dal rumore delle pale dell’elicottero che
sorvolano il quartiere.
Giornate in cui gli abitanti lasciano la scena ai palazzi rendendola quasi una città fantasma,
dove la presenza umana diventa rara e va quasi scomparendo. Il contesto, l’architettura e
l’elemento umano si fondono per dar vita ad un mostro sociale. Questo è solo uno dei tanti
creati da una politica scellerata, sparsi in tutta Italia, nei quali gente onesta si trova stretta in un
sopravvivere quotidiano caratterizzato da una legge “diversa” da quella dello Stato. Un
quartiere dove non esistono regole del vivere civile ma solo quelle del più forte.
Cemento Armato è ambientato a Librino, ma potrebbe essere, per la sua struttura architettonica
e la difficoltà del vivere quotidiano, una qualsiasi banlieue europea dove l’uomo viene confinato
in una gabbia, come un problema sociale senza soluzione, senza che la politica si interroghi
realmente della causa di un disagio sociale così vasto. La classe politica non si occupa delle
persone del quartiere che diventano invisibili alla città.
Diventano persone solo quando ci si avvicina alle elezioni.

Queste città sono mondi separati, due città nella città, dove la creazione di agglomerati non
hanno fatto altro che aumentare il divario tra le genti, impedendone un vero inserimento, una
osmosi naturale, alimentando quel divario fatto di usi, costumi, cultura, leggi morali ed etiche
differenti.
Sembra quasi il realizzarsi del famoso film di John Carpenter, 1997: Fuga da New York 3:

“[…] Quella che un tempo fu la libera città di New York diventa il carcere di massima sicurezza
per l’intero paese. Un muro di cinta di quindici metri viene eretto lungo la linea costiera di Jersey,
attraverso il fiume Harlem, e giù lungo la linea costiera di Brooklyn. Non vi sono guardie, dentro il
carcere. Solo i prigionieri e i mondi che si sono creati. Le regole sono semplici: una volta entrati,
non si esce più.”

Lo Zen, Librino, le vele di Secondigliano, il serpentone del Corviale per citare solo alcune delle
realtà italiane sono diventati quartieri dormitorio utili solo alla crescita di fenomeni di rabbia
sociale.
Come in Stalker di Andreij Tarkovskij4 queste parti di città si sono trasformate in “zona”, aree
misteriose dell’immaginario collettivo, ma sono purtroppo ben lontane dalle visioni del regista
russo.
Cemento Armato è quindi un viaggio, un viaggio sociale, che svela la “Zona” nella sua
dimensione umana.
Una misera condizione rapportata ad una realtà europea che mantiene e continua a percorrere
gli stessi errori da millenni creando ciclicamente le identità dei diversi isolandoli nei ghetti sociali
che ogni società crea per far vivere serenamente un’altra parte di città. La città “buona”.
Oppure Cemento Armato altro non è che un viaggio introspettivo. Uno specchio tra collettività
ed individuo, dove ognuno, nella propria misura, conserva, protegge e nasconde un lato
“oscuro”, allontanandolo dalla società o confinandolo in un sottosuolo interiore, riproponendo
l’eterno fallimento umano: non far comunicare le due parti di se, continuando a creare quella
doppia personalità necessaria per il quieto vivere della parte buona da mostrare in pubblico.

NOTE

  1. Italo Calvino, La speculazione edilizia, Collana Nuovi Coralli n.46, Einaudi, Torino, 1973.
  2. Tony Pagliuca – Aldo Tagliapietra (Le Orme), Collage, Phillips, Milano, 1971
  3. John Carpenter, 1997: fuga da New York, Film, Goldcrest Films International, U.S.A.,1981;
  4. Andreij Tarkovskij, Stalker, Film, Unione Sovietica, Germania, 1979.

RICCARDO COLELLI_BIOGRAFIA

Il Vetro restituisce sempre un’immagine di noi stessi. Non importa che rifletta l’immagine di chi lo guarda o catturi cosa guarda. Quel vetro, che sia uno specchio o una lente, rifletterà sempre quello che di più intimo abbiamo dentro.

Nasco a Milano nel 1971, ma cresco a Ostia Lido (Rm), giro l’Italia per diversi anni prima di trasferirmi per affari di cuore a Catania nel 2014, città che mi vedrà diventare padre per ben tre volte.

Attratto dalle arti visive e dal cinema in particolare, mi avvicino alla fotografia da autodidatta nel 2011, fortemente influenzato dalla lanterna magica. I primi tempi mi hanno visto attratto da ogni genere di fotografia, ma presto ho capito che ciò che mi interessava era l’uomo e la sua storia.

Nel 2014 ho cominciato a sviluppare il progetto di ricerca “Cenerentola non abita più qui” rivisitando il mito in chiave umana, svelandone vizi e debolezze in continua metamorfosi. Parallelamente mi sono dedicato allo sviluppo di reportage che hanno sempre come epicentro l’uomo, il suo habitat, il territorio, la fede, il lavoro, con maggiore attenzione a quei lavori che stanno scomparendo e dove gli anziani sono gli ultimi custodi di una realtà che si sta dissolvendo.  Alla ricerca di conferme sui miei progetti ho partecipato a molti concorsi ottenendo buoni consensi soprattutto fuori dall’Italia, il più importante sicuramente The Fence nell’edizione del 2017 che ha portato il mio progetto, U Conzu, in giro per gli Stati Uniti con mostre en plein air fino al 2018.  Una sintesi del lavoro qui presentato, Cemento Armato, è stato esposto al Ragusa Photo Festival  Circuito Off, a Noto, a Favara presso il Farm Cultural Park con la Curatela di Santo Eduardo Di Miceli ed esposto presso l’Etna Photo Meeting, nonché pubblicato sul magazine on line FPmagazine.

Oltre ai vari cataloghi dei concorsi ai quali ho partecipato, le mie foto sono state pubblicate nel primo volume del Bookzine Spectrum, nel libro Generazioni realizzato da dotART / Exhibit Around ed in altri magazine cartacei tra i quali PDN Photo District News, Rangefinder e Fotocult.

 I miei progetti sono visibili sul sitowww.riccardocolelli.com .