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L'angolo di Art'è

UNA PIETRA, UNO SGUARDO, UNA STORIA

Una persona viene dimenticata soltanto quando viene dimenticato il suo nome (dal Talmud).

Una pietra d’inciampo è un piccolo blocco di pietra ricoperto di ottone, posto davanti all’edificio in cui visse, o lavorò, uno dei milioni di deportati nei campi nazisti che non fecero più ritorno a casa. Essa ne ricorda il nome, l’anno di nascita, il giorno dell’arresto, il luogo della deportazione e la data della morte.

La prima fu posata a Colonia, in Germania, nel 1995, su iniziativa dell’artista Gunter Demnig: una reazione a ogni forma di negazionismo e di oblio, per ricordare tutte le vittime del nazifascismo, qualunque fosse il motivo della loro persecuzione – religione, “razza”, idee politiche o orientamento sessuale. Da lì si è avviato un monumentale progetto europeo per tenere viva la loro Memoria, che ha portato alla posa di oltre 80.000 pietre d’inciampo. A Milano, con un formale atto costitutivo, è nato nel 2016 il Comitato per le “Pietre d’Inciampo” – Milano. Per rafforzare una memoria comune delle persecuzioni nazi-fasciste, il comitato si è prefissato di mantenere un fondamentale equilibrio,

nella scelta delle persone a cui dedicare le pietre da posare, tra le vittime della deportazione politica e di quella razziale, le due tipologie avvenute a Milano.

Dal 2017 ad oggi (1), ne sono state posate 121.

Nella volontà di dare eco alla Memoria di queste vittime, ho deciso di fotografare alcune pietre d’inciampo, affiancando a questi scatti i ritratti dei famigliari delle vittime e accompagnando le due foto con le storie dei deportati.

In questo contesto, i ritratti vogliono rafforzare il significato e il valore della testimonianza costituita dalla pietra d’inciampo, provando, nel contempo, a restituire gli stati d’animo delle persone private dei propri cari.

L’immagine di sinistra del dittico è costituita da un doppio scatto (la pietra più il fronte dell’edificio al quale essa è riferita) che nasce in camera. L’immagine di destra è costituita dal ritratto del famigliare, sempre scattato all’esterno del binario 21 (la zona della Stazione

Centrale di Milano, al di sotto dell’area passeggeri, solitamente adibita al carico e allo scarico della posta e che, fra la fine del 1943 e i primi del 1945, fu impiegata per la deportazione). Lo sfondo è sempre costituito dalla strada e dalla ferrovia sovrastante – quella ferrovia che, per tanti, ha costituito il punto di distacco dai propri cari e dalla città – e vuole essere un richiamo concettuale a quello che il Binario 21 rappresenta.

A fianco del ritratto è posto un QR code, per mezzo del quale è possibile leggere le storie, spesso incredibili, dei deportati, riprese dal sito http://www.pietredinciampo.eu. La conoscenza dei fatti accaduti ha un’importanza fondamentale, e il percorso visivo che propongo conduce lo spettatore a questo passaggio conclusivo.

I fatti che hanno portato alla deportazione ed allo sterminio sono stati incredibili e, fortunatamente, per i più corrispondono a verità storica. Ma c’è gente che come allora odia, nega l’accaduto, e sono sempre possibili passi indietro.

(1) settembre 2021, data completamento del lavoro

Angelo COLOMBO

Nato a Savigliano (CN) il 21/10/1870 – arrestato il 2 novembre 1944 – assassinato a Bolzano il 10 aprile 1945.

Pietra d’Inciampo in Via Pinamonte da Vimercate 10.

Angelo Colombo nasce a Savigliano (CN) il 21 ottobre 1870, da Donato e Orsola Ottolenghi. Sposa Ernestina Lattes ed hanno 8 figli. Ha una attività ben avviata di tappezziere in C. Garibaldi.

Nonostante le leggi razziali, non pensa che possa accadergli nulla, vista l’età. Dopo la morte del figlio Tullio, fallito un tentativo di fuga in Svizzera, con la moglie trova rifugio in una casa di suore a Besana Brianza, loc. Brugora, ma sono scoperti ed arrestati il 2 novembre 1944. E’ carcerato a Milano, S. Vittore, e deportato a Bolzano. Impossibilitato a muoversi, perchè paralizzato, muore il 10 aprile 1945. La moglie Ernestina sopravvive e rientra a Milano con la figlia Lidia il 6 maggio 1945.

Tullio COLOMBO

Nato a Milano il 10/4/1913 – arrestato il 29 ottobre 1943 – assassinato a Milano il 20 novembre 1943.

Pietra d’Inciampo in Via Procaccini 43.

Tullio Colombo nasce a Milano il 10 aprile 1913, da Angelo e Ernestina Lattes. Sposa Irma Luigia Nova ed hanno una figlia. Commerciante, ha un negozio di articoli sportivi in centro a Milano.

Dopo l’8 settembre 1943 si rifugia ad Erve, nel Lecchese, insieme alla sorella Lidia e le rispettive famiglie. Il 29 ottobre 1943 un suo commesso lo richiama a Milano simulando un furto, ma è un tranello: ad attenderlo ci sono i militi fascisti che lo arrestano e lo portano a S. Vittore. I tedeschi delle SS pretendono da lui il pagamento di un riscatto che sembra essere ottenuto. Viene prelevato la mattina del 20 novembre 1943, trasportato in località sconosciuta, gli viene imposto di scavare una fossa: è ucciso a bruciapelo e la sua salma non venne mai ritrovata.

Sebastiano PIERI

Nato a Vasanello (VT) il 5/4/1898 – arrestato il 17 marzo 1944 – assassinato a Gusen il 19 gennaio 1945.

Pietra d’Inciampo in Piazza Filangieri 2.

Sebastiano Pieri nasce a Vasanello (VT) il 5 aprile 1898. Sposa Emiliana Maracci, sua conterranea: la coppia non ha figli ed il matrimonio non dura. Il 16 settembre 1923 si arruola nel corpo delle guardie giudiziarie e si trasferisce a Milano in servizio al carcere di San Vittore. Conosce Olga Fraquelli con la quale si lega, ma non può contrarre altro matrimonio. Il primo figlio muore appena nato, il secondo figlio, Umberto, nasce nel 1935 e sarà riconosciuto da Sebastiano Pieri. Non riesce invece a riconoscere il terzo figlio, Cesare, nato nel 1943, proprio perché arrestato e deportato: Cesare avrà comunque il cognome Pieri quando verrà affiliato negli anni ’50 dal fratello di Sebastiano. Il lavoro di Sebastiano Pieri è apprezzato: a settembre 1938 è promosso “guardia scelta” ed il 4 dicembre 1938 gli viene conferita medaglia d’argento al merito di servizio. Dopo l’8 settembre 1943 è nel braccio di San Vittore sotto giurisdizione delle SS tedesche, addetto all’infermeria; come tale è testimone di quanto accade ed in particolare della morte, dopo tortura, di don Achille Bolis, parroco settantenne di Calolziocorte (BG). Si offre di aiutare i detenuti a mantenere rapporti clandestini con i parenti nascondendo i messaggi nella fodera del berretto di ordinanza, fino a quando non venne scoperto. Il 17 marzo 1944 è arrestato e carcerato a San Vittore, matr. 1705. Il 27 aprile 1944 è deportato a Fossoli ed il 21 Giugno 1944, con il Traporto 53, a Mauthausen, matr. 76509. Non è nota la data del suo trasferimento a Gusen, dove muore il 19 gennaio 1945.

Arturo COLOMBO

Nato a Milano il 7/10/1898 – arrestato il 13 novembre 1943 – assassinato al Castello di Hartheim il 25 agosto 1944.

Pietra d’Inciampo in Via Cappellini 16.

Arturo Colombo nasce a Milano il 7 ottobre 1898, da Domenico e Maria Galimberti. In data 10 gennaio 1925 sposa Albina Lombardelli ed hanno quattro figlie: Adriana (1926), coniugata Merlini, le gemelle (1929) Milena, deceduta poco dopo la nascita, e Licia, coniugata Valentini, e Giovanna (1940), coniugata Papa. Partecipa alla Prima Guerra Mondiale e riceve una Medaglia d’Argento [“portaordini del comandante di compagnia, quantunque ferito ad una coscia, continuava ad adempiere il suo compito, finché, estenuato di forze. veniva trasportato al posto di medicazione -Vertoibizza, 20 agosto 1917”]. Assunto dal Comune di Milano, lavora all’Ufficio Leva di Via Larga.

E’ arrestato il 13 novembre 1943, a seguito di delazione di un collega, con l’accusa di aver favorito l’espatrio in Svizzera di giovani soggetti a servizio di leva (*1).

Carcerato a S. Vittore. Deportato da Milano con il trasporto 25, partito da Torino il 18 febbraio 1944, arriva a Mauthausen il 21 febbraio 1944: gli viene assegnata la matricola 53382. Trasferito al Castello di Hartheim, viene assassinato in data 25 agosto 1944.

(*1)

Attività svolta come membro del CNL (Comitato Nazionale di Liberazione)

[integrazione alla biografia presente sul sito internet   www.pietrediinciampo.eu,   con informazioni acquisite dai famigliari]

Luigi AZRIA

Nato a Livorno il 21/6/1895 – arrestato l’8 novembre 1943 – assassinato ad Auschwitz in data ignota.

Pietra d’Inciampo in Via Pomposa 4.

Luigi Azria nasce a Livorno il 21 giugno 1895 da Felice ed Ada Belleli. Sposa Margherita Scandiani e la coppia non ebbe figli. Riformato dal servizio militare a causa di una grave miocardite, è impiegato all’Ufficio Telegrafico e dal 1° maggio 1926 è trasferito alla Direzione Provinciale di Milano come Ufficiale di 3° classe. Nel 1932 si iscrive al Partito Nazionale Fascista.

A seguito delle leggi razziali, la sua domanda di discriminazione non viene accolta ed il 16 novembre 1938 è allontanato dal lavoro. Dal 1939 vive con una pensione di Lire 242,30 mensili. L’8 novembre 1943 è arrestato nella sua abitazione e carcerato a San Vittore. Deportato ad Auschwitz con il “Trasporto 24” del 30 gennaio 1944. E’ assassinato in data ignota.

La Direzione Provinciale Poste e Telegrafi di Milano lo dichiara cessato con il 1944. Con decreto 1898/682 del Capo della Provincia di Milano del 7 luglio 1944 vengono confiscati tutti i suoi beni, per un controvalore complessivo di Lire 5.140: il 31 dicembre 1944 i beni sono dati in custodia a Maria Scotti, vedova Agosti.

Aquilino MANDELLI

Nato a Milano il 23/9/1908 – arrestato il 18 ottobre 1943 – assassinato a Gusen il 8 marzo 1945.

Pietra d’Inciampo in Via Inama 24.

Aquilino Mandelli nasce a Milano il 23 settembre 1908 da Natale Ambrogio e Anita Viltori. Lavora come operaio meccanico alla Caproni di Taliedo. Il 19 Ottobre 1933 sposa Virginia Oddone e la coppia avrà un figlio, Giorgio. La sua opposizione al regime fascista è nota: dal 1936 è schedato in CPC come antifascista ed è proposto per il confino: svolge azione di propaganda all’interno della fabbrica. Il 18 Ottobre 1943 è arrestato ad Olgiate Olona e carcerato a San Vittore a Milano. Progetta con altri detenuti un’evasione, ma non ha successo, anzi le SS minacciano ritorsioni e Aquilino rinuncia. Prima di partire per la deportazione in Germania riesce a far arrivare due lettere di amore e speranza alla moglie Virginia. Con il trasporto 25, partito da Torino il 18 febbraio 1944, giunge a Mauthausen il 21 febbraio 1944, matricola 53418. E’ trasferito dapprima a Schwechat-Floridsdorf e poi dal 16 febbraio 1945 a Gusen, dove muore il 8 marzo 1945.

Francesco MOSCHETTINI

Nato a Ginosa (TA) il 21/11/1914 – arrestato il 21/9/1944 – assassinato a Gusen il 24/1/1945.

Pietra d’Inciampo in Via Giuriati, 17.

Francesco Moschettini nasce a Ginosa (TA) il 21 novembre 1914.

Laureato in Ingegneria Elettrotecnica al Politecnico di Milano, viene arruolato in Marina.

Dopo l’8 settembre 1943 passa nel Corpo dei Vigili del Fuoco di Milano ed aderisce alla Resistenza.

Nei sotterranei del Politecnico installa un centro radio clandestino ed un centralino telefonico, eludendo le ricerche del controspionaggio tedesco: assicura così l’efficienza del servizio informazioni del CLN Alta Italia, sotto la direzione di Enzo Boeri.

A seguito di una delazione è arrestato il 21 settembre 1944.

E’ deportato prima a Bolzano ed il 20 novembre 1944 a Mauthausen. Muore a Gusen il 24 gennaio 1945.

Roberto LEPETIT

Nato a Lezza d’Erba (CO) il 29/8/1906 – arrestato il 29/9/1944 – assassinato ad Ebensee il 4/5/1945.

Pietra d’Inciampo in Via Benedetto Marcello, 8. Roberto Enea Lepetit nasce a Lezza d’Erba (CO) il 29 agosto 1906, figlio di Emilio e Bianca Moretti. All’età di tredici anni perde il padre per un attacco di appendicite. Non ancora ventenne deve abbandonare gli studi per affiancare lo zio nella conduzione dell’impresa di famiglia, prima Lepetit-Dufour e successivamente Ledoga S.A., per la produzione di prodotti chimici e farmaceutici. Poco dopo, nel 1928, anche lo zio viene a mancare e Roberto Lepetit a 22 anni si trova a dover dirigere un importante realtà industriale lombarda. Nel 1929 sposa Hilda Semenza e la coppia avrà due figli, Emilio e Guido. Il gruppo industriale cresce sia in Italia che all’estero collocandosi tra le più importanti aziende italiane del settore. Nel 1930 è iscritto al PNF, ma solo per necessità professionali: in realtà non nasconde ad alcuno la sua avversità al regime e vede con soddisfazione la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943. Subito dopo l’8 settembre si avvicina alla Resistenza alla quale non fa mancare il proprio contributo sia operativo che economico. Sia la Polizia della Repubblica di Salò che la Polizia tedesca cominciano a controllarlo, anche a seguito di informative anonime, ed il 29 settembre 1944 è arrestato in ufficio a Milano e condotto a San Vittore. Tutti i tentativi di liberarlo non hanno successo. Il 17 ottobre 1944 è deportato a Bolzano ed il 20 novembre con il “Trasporto 104” a Mauthausen, matr. 110300. E’ in quarantena sino al 4 dicembre e poco dopo trasferito a Melk. Da qui il 11 aprile 1945 è trasferito ad Ebensee. Muore il giorno prima della liberazione del campo, anche se alcune testimonianze sostengono che sia sopravvissuto ancora per qualche giorno.

Mino STEINER

Nato a Milano il 10/5/1909 – arrestato a Milano il 16/3/1944 – assassinato ad Ebensee il 28/2/1945.

Pietra d’Inciampo in Viale Bianca Maria, 7.

Guglielmo “Mino” Steiner nasce a Milano il 10 maggio 1909 da Emerico Steiner e Fosca Titta, primogenito di quattro fratelli. La madre, Fosca, è sorella del baritono Titta Ruffo e della moglie di Giacomo Matteotti: i legami familiari sono molto stretti. Al funerale di Giacomo Matteotti a Fratta Polesine il 21 agosto 1924, Mino, con il padre e gli zii, ne porta a spalle la bara. Laureato in giurisprudenza, inizia l’attività lavorativa nello studio dell’avvocato antifascista Lelio Basso. Nel giugno 1939 è arrestato e tradotto a San Vittore per una settimana dalla polizia politica fascista in occasione di un ennesimo fermo di Lelio Basso. Nell’ottobre 1942 è richiamato alle armi ed è a Palermo il 5 luglio 1943, sbarco degli alleati in Sicilia. 

In contatto con i servizi segreti anglo-americani gli viene affidato il comando della prima missione segreta inviata oltre la linea del fronte in Nord-Italia: la missione “Law” e il 3 ottobre 1943 sbarca da un sommergibile inglese davanti alla spiaggia di Lavagna (GE). A Milano, progetta con Mario Paggi un giornale di cultura politica aperto a tutte le idee antifasciste: “Lo Stato Moderno”. Arrestato dalla polizia politica, il 16 marzo 1944, viene rinchiuso a San Vittore, reparto SS; dopo sei settimane è trasferito a Fossoli e da qui, il 21 giugno 1944 a Mauthausen. Muore nel sotto-campo di Ebensee (Cement) il 28 febbraio 1945.

Guglielmo BARBO

Nato a Milano il 11/8/1888 -arrestato il 31/7/1944 -assassinato a Flossenbürg il 14/12/1944.

Pietra d’Inciampo in Via Visconti di Modrone, 20.

Guglielmo Barbò di Casalmorano nasce a Milano l’ 11 agosto 1888 da Gaetano Barbò di

Casalmorano e Francesca Barbiano di Belgiojoso d’Este.

Militare di carriera: a 17 anni allievo alla Scuola Militare di Roma, a 21 anni Sottotenente di Cavalleria a Pinerolo. Durante la Prima guerra mondiale gli vengono conferite due Medaglie d’Argento al Valor Militare ed ottiene la promozione a capitano.

Nel 1920 sposa Pia Fracassi Ratti Mentone e dal matrimonio nel 1922 nasce la figlia Francesca.

Prosegue la carriera militare: nel 1938 con il grado di Colonnello è al comando del Nizza Cavalleria di stanza a Torino. Nel 1941/42 è in Russia con l’ARMIR, prima al comando del reggimento Savoia Cavalleria, quindi, promosso Generale, al comando del RAC (Raggruppamento truppe a cavallo), dove gli viene conferita una Croce di Ferro di 2° Classe e successivamente la Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia. Rientrato in Italia, il 1° aprile 1943 gli viene assegnato il comando della Scuola di Applicazione di Cavalleria di Pinerolo. Il 12 settembre 1943, a seguito di trattativa coi tedeschi, risultata poi falsa, la Scuola passa sotto il comando tedesco ed il Gen. Barbò con tutto il personale militare, viene caricato su un treno per l’internamento in Germania, via Brennero. Nella stessa notte del 12 settembre riesce a fuggire dal treno e si unisce alla Resistenza, dove fa capo all’avvocato liberale Luciano Elmo. Arrestato il 31 luglio 1944 viene deportato prima a Bolzano e successivamente a Flossenbürg dove muore il 14 dicembre 1944.

Anna RABINOFF SCHWEINÖSTER

Nata a Simferopoli il 1/4/1881 -arrestata il 13/10/1943 -assassinata ad Auschwitz il 11/12/1943.

Pietra d’Inciampo in Via Mario Pagano, 50.

Anna Rabinoff Schweinöster nasce a Simferopoli (Crimea) il 1° aprile 1881, figlia di Gregorio e Fanny Niegensky. La famiglia è agiata (proprietari terrieri) ed Anna, di animo indipendente, è tra le prime donne in Russia che si laurea in odontoiatria. Non è interessata alla professione e viene a Milano a studiare canto. Conosce e sposa Georg Schweinöster, bavarese, spedizioniere a Luino. Nel 1910 nasce il primo figlio, Luigi, che muore nell’anno successivo. Allo scoppio della Grande Guerra la famiglia si trasferisce a Zurigo, dove nel 1917 nasce il secondo figlio Giorgio. Finita la Grande Guerra, la famiglia rientra a Luino e poco dopo si trasferisce a Milano. Nel 1927 rimane vedova. Si dedica all’educazione del figlio, che dopo la maturità si iscrive all’Università Bocconi. A seguito dell’emanazione delle leggi razziali del 1938, Anna ed il figlio decidono di lasciare l’Italia e si trasferiscono in India, a Bombay, dove Giorgio inizia a lavorare come spedizioniere, seguendo le orme del padre. Anna mal sopporta la nuova vita in India e purtroppo rientra in Italia. Già censita nel 1938 come appartenente alla razza ebraica, viene arrestata il 13 ottobre 1943 e carcerata a San Vittore: il 6 dicembre 1943 con il “Trasporto 12” è deportata ad Auschwitz dove viene assassinata all’arrivo.

Luigi VERCESI

Nato a Genova il 21/6/1914 – arrestato il 23 marzo 1944 – assassinato a Fossoli il 12 luglio 1944

Pietra d’Inciampo in Via Paolo Sarpi 10.

Luigi Vercesi nasce a Genova il 21 giugno 1914, figlio di un maresciallo della Guardia di Finanza. Presta servizio militare in marina, imbarcato sul sommergibile “Ettore Fieramosca” con base a Taranto. Qui incontra la futura moglie, Maria Schinaia, che sposa nel 1935 e lo stesso anno nasce la prima figlia, Rosa. Si trasferisce a Milano dopo il congedo, impiegandosi in un’azienda di progettazione e costruzione caldaie. Allo scoppio della guerra è richiamato in marina, ma subito congedato, avendo già tre fratelli sotto le armi. Dopo l’8 settembre 1943 non risponde ai bandi di arruolamento della Repubblica Sociale ed il 23 marzo 1944 è arrestato come renitente alla leva e carcerato a San Vittore, matr. 1766. Due mesi dopo nasce il secondo figlio Renato Luigi, che il padre potrà vedere solo una volta in occasione di una breve visita in carcere. Deportato nel Campo di Fossoli il 26 giugno 1944, matr. 2421, è fucilato il 12 luglio del 1944 insieme ad altri 66 internati politici nel vicino poligono di tiro di Cibeno. Alla famiglia venne fortunosamente recapitato un biglietto scritto dal luogo dell’eccidio: “Mi hanno assassinato. Avvertite la famiglia. Vercesi Luigi via Paolo Sarpi 10 Milano”.

La sua è la prima salma che sarà riesumata il 18 maggio 1945 e quindi è probabile che sia stato l’ultimo ad essere assassinato.

Biografia

Emanuele Ferrari (Piacenza, 1965) ha partecipato ad alcune esposizioni collettive, tra cui “Piacenza. Una fotografia contro la discriminazione” (Biblioteca Passerini Landi, Piacenza 2003), “Taboo&Totem” (Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi, Piacenza 2004), “Lo spirito del tempo” (Associazione Amici dell’Arte, Piacenza 2018), “L’ombra si figura” (Artevino, Maleo 2019), “Un Uomo, uno Sguardo, una Storia” (Colorno Photo Life, Colorno; Palazzo Ranieri, Perugia 2021). Suoi scatti compaiono in svariate pubblicazioni di carattere artistico e letterario. Nella sua attività trovano spazio l’uomo, il territorio e l’indagine delle loro interazioni, frutto dell’interesse per la fotografia documentaria. Tre le sue mostre personali: “IN&OUT” (Piacenza 2006) inserita nel programma del Festival Internazionale Carovane, “Nel rivedere te” (San Nicolò a Trebbia 2014), ”Fragile” (Piacenza 2018).